L’importante crescita della Cina, oggi sul podio dei giganti economici mondiali assieme agli Stati Uniti e con un Pil che nel 2021 ha segnato un incremento dell’8,1 per cento secondo l’Ufficio nazionale di statistica cinese, è frutto di precise scelte di politica economica e fiscale, che hanno delineato negli anni l’attuale assetto del Paese. Nel corso del tempo si sono susseguite una serie di riforme fiscali lungimiranti, che hanno garantito la crescita del Paese e che hanno avuto il loro apice nell’ormai lontano 2001, quando la Cina, dopo più di 11 anni di negoziati, è diventata ufficialmente stato membro dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), riducendo tariffe di importazione e adeguandosi alle regole del multilateralismo.

Tale politica di favore, che ha permesso l’aumento degli investimenti stranieri sul territorio e la concorrenza sul piano internazionale, si è manifestata anche sul piano fiscale. La Cina, infatti, ha adottato un sistema fiscale, che ha favorito la presenza di stranieri sul territorio, garantendo l’esenzione dei costi connessi all’attività lavorativa (come costi per l’affitto della casa, per l’istruzione dei figli, costi per il trasporto o per corsi di lingua) o l’applicazione di un regime di tassazione agevolato sui premi salariali annualmente conseguiti.

Tuttavia, tale andamento sembra essere mutato. Dal 1° gennaio 2019, è entrata in vigore la previsione che stabilisce un nuovo regime fiscale, che prevede che gli stranieri residenti o che comunque lavorano in Cina siano sottoposti allo stesso regime fiscale previsto per la comunità locale, con eliminazione quindi dei numerosi benefici fiscali sinora concessi nei confronti degli stranieri in Cina senza però adeguare i servizi pubblici di cui gli stessi stranieri possono usufruire, come l’iscrizione dei propri figli nelle scuole pubbliche cinesi.

In vista di facilitare la transizione tra i due modelli di politica fiscale, il governo cinese aveva introdotto un regime transitorio, che avrebbe esteso i benefici fiscali per gli stranieri sino al 31 dicembre 2021. Tale regime transitorio prevedeva che i premi salariali a beneficio del lavoratore una tantum potessero essere inclusi, a fini fiscali, o nel reddito totale annuo oppure soggetti a tassazione separata ad un’aliquota inferiore.

Posto il periodo di validità di tale regime fiscale, il 2022 è stato atteso con grande preoccupazione da tutta la comunità di stranieri in Cina (pari a soli circa 845mila individui secondo i risultati dell’ultimo censimento nazionale), dal momento che avrebbe rappresentato l’anno in cui i benefici concessi sarebbero venuti meno. Tuttavia, con una decisione politica, tanto attesa quanto inaspettata, il 31 dicembre 2021 (esattamente, l’ultimo giorno utile per procedere in tal senso) è stata annunciata un’ulteriore proroga dei benefici fiscali fino al 31 dicembre 2023.

La proroga è certamente un risultato incoraggiante, frutto dell’intesa e delle azioni congiunte della Camera di Commercio dell’Unione Europea in Cina e delle camere di commercio di altri Stati, i cui sforzi possono essere al meglio testimoniati dall’ invio di lettere e di altre varie comunicazioni a ministri cinesi coinvolti nell’argomento ed anche più di una al Premier Cinese Li Keqiang, al fine di procedere in questa direzione.

In particolare, la Camera del Commercio dell’Unione Europea in Cina, che quotidianamente lavora a supporto delle imprese europee presenti sul territorio cinese per facilitare il loro accesso al mercato, ha espresso soddisfazione per questa nuova proroga anche se arrivata in “zona Cesarini”.

Dopo tutto, un epilogo diverso avrebbe certamente determinato un “esodo in massa” di imprese e cittadini stranieri, che hanno deciso di restare in Cina, nonostante le limitazioni agli spostamenti e difficoltà economiche dovute alla pandemia Covid, che ha già allontanato giovani talenti e imprese, per le difficili condizioni di permanenza in loco. Infatti, se ciò fosse accaduto, i costi da sostenere per le realtà straniere, sarebbero diventati insostenibili. Basti solo pensare ai costi di istruzione per l’istruzione dei figli di cittadini stranieri che, in quanto difficilmente ammessi nelle scuole pubbliche cinesi, studiano nelle scuole internazionali (tra le più costose al mondo, con una retta annuale, che oscilla tra i 23.000 e 50.000 euro).

Considerando questi dati, è possibile comprendere il reale vantaggio di questa ulteriore proroga, che ha consentito ad imprese già in difficoltà di evitare gravose procedure di ristrutturazione aziendale, che si sarebbero rese inevitabili qualora la proroga non fosse stata approvata.

Altra difficoltà che le società italiane stanno affrontando in Cina è la mancanza di voli; pertanto, a questo punto, diventa fondamentale lavorare con più concretezza e celerità sul ripristino dei voli diretti tra i due Paesi, sospesi dalla diffusione del Covid. A distanza di oltre due anni, le compagnie cinesi Air China e China Eastern senza giustificazioni non hanno ancora ripreso le rotte Italia-Cina creando un enorme danno alla comunità di affari italiana presente sul territorio. Il tutto, nonostante l’Italia sia stato il primo Paese facente parte del G7 a sottoscrivere un accordo sulla Belt and Road Initiative con la Cina proprio per promuovere maggiori scambi. Il ripristino dei voli con una maggiore sburocratizzazione per garantire gli spostamenti tra Italia e Cina in aggiunta alla proroga dei benefit per gli stranieri possono incoraggiare le imprese italiane che desiderano investire nel territorio del Dragone.

 

A cura di: Avv. Carlo D’Andrea, Vice Presidente della Camera di Commercio dell’Unione Europea in Cina