Negli ultimi mesi, la risposta cinese al COVID-19, in seguito a numerosi focolai della variante Omicron, ha portato a chiusure totali o parziali in almeno 45 città, che rappresentano circa il 40% del prodotto interno lordo cinese con una popolazione complessiva di oltre 370 milioni di persone.

 

La dura realtà del mercato

Una serie di lockdown nella municipalità di Shanghai (la più grande economia urbana del paese, con una popolazione di 24,89 milioni) ed in numerose altre città e province cinesi sta accumulando una forte pressione sui trasporti e sulla logistica in tutto il Paese, con costi economici e sociali di vasta portata. La municipalità di Shanghai, fondamentale centro finanziario e snodo logistico, vive in questo contesto una situazione particolarmente critica, essendo sostanzialmente paralizzata sin dalla fine del mese di Marzo, per un termine ad oggi imprecisato.

L’attuale situazione a Shanghai è di notevole rilevanza, considerando che solo nel corso dell’anno appena trascorso ha registrato un PIL di 4,32 trilioni di yuan (circa 614 miliardi di euro), in crescita dell’8,1 per cento rispetto all’anno precedente, superando le più rosee aspettative di un tasso di crescita annualizzato del 6 per cento. Essendo il più grande porto container del mondo, il blocco della municipalità ha causato un aumento dei ritardi nelle spedizioni (gli ultimi dati disponibili parlano di un aumento del tempo medio di attesa per la spedizione di container dal porto di Shanghai da 4 a 14 giorni), aumentando la pressione sulle catene di approvvigionamento globale, già esacerbate.

Inoltre, le chiusure di fabbriche a Shanghai e in altre città e province vicine si aggiungono alle interruzioni delle catene di approvvigionamento chiave per l’elettronica e l’industria automobilistica sia a livello nazionale che internazionale (l’83% delle imprese associate della Camera di Commercio dell’Unione Europea in Cina sottolinea che le misure di controllo COVID-19 della Cina hanno avuto un impatto negativo sulle rispettive capacità produttive).

Per mettere in prospettiva lo scenario attuale, secondo gli ultimi dati derivati dall’indagine della Camera di Commercio dell’Unione Europea in Cina, “COVID-19 e la guerra in Ucraina: l’impatto sul Business Europeo in Cina”, le catene di fornitura, sia a monte che a valle, hanno subito un colpo significativo in base a quanto segnalato dai soci della Camera, con il 92% degli intervistati che hanno riportato un impatto negativo delle misure di contenimento adottate sulle rispettive catene di fornitura. Nello specifico, l’85% delle imprese associate intervistate sta riscontrando difficoltà ad accedere alle materie prime o ai componenti necessari per la produzione; l’89% sta incontrando difficoltà a trasportare le materie prime o i componenti necessari per la produzione; l’87% sta sperimentando difficoltà a consegnare i prodotti finiti in Cina; e l’83% sta riscontrando difficoltà per consegnarli a livello globale.

Inoltre, tale incertezza ha anche messo a dura prova le risorse delle piccole e medie imprese (PMI). Come risultato delle chiusure di massa in tutta la Cina, e di altre restrizioni legate al COVID, il 23% delle imprese partecipanti al suddetto sondaggio ha riferito di stare valutando lo spostamento degli investimenti attuali o già pianificati in Cina verso altri mercati. Mentre una lotta prolungata contro la pandemia ha costretto le PMI a innovare per sopravvivere, persistono certamente dubbi su quanto a lungo possa durare un tale approccio.

 

Preoccupazioni crescenti

I potenziali investitori dovrebbero notare che la capitale Pechino non ha ancora imposto un lockdown generalizzato come a Shanghai, sebbene gran parte della città risulti bloccata. Al momento in cui scriviamo, le autorità locali hanno imposto la chiusura di oltre 40 stazioni della metropolitana e 158 linee di autobus, aggiungendosi ad una lista crescente di misure che includono la costruzione di barricate intorno alle aree residenziali, il divieto di cenare al chiuso, e la chiusura di molti cinema, centri commerciali e palestre, con molte imprese e residenti che temono l’introduzione di misure più severe, mentre lo smart-working è stato ampiamente implementato in tutta la municipalità.

Dopo la chiusura di Shanghai, un’altra chiusura generalizzata di una grande municipalità come Pechino infliggerebbe un duro colpo alla fiducia del business in un momento in cui i costi economici della strategia “zero-COVID” stanno diventando sempre più visibili, e le severe restrizioni messe in atto sembrano vanificare la speranza che il Paese possa rilassare la propria politica di tolleranza zero, almeno nel breve termine.

 

Prospettive economiche e conseguenze

Mentre vari Paesi dell’Asia si avviano ad completa riapertura con una crescita economica a livelli pre-pandemici  (prendiamo ad esempio l’India, che ha una previsione di crescita del PIL per il 2022-23 fissata al 7,4%) la Banca Mondiale ha recentemente abbassato le stime di crescita della Cina per il 2022, stimando una crescita del 5,1% quest’anno, in netto calo rispetto all’8,1% dello scorso anno e anche inferiore all’obiettivo ufficiale della Cina del 5,5% circa.

Queste statistiche trovano riscontro con le previsioni delle aziende che operano nel mercato locale: quasi sei aziende su dieci hanno già rivisto le proprie prospettive di fatturato per l’anno 2022 come risultato delle severe misure di contenimento COVID-19 in Cina.

Detto questo, la maggior parte delle imprese partecipanti al predetto sondaggio hanno riferito, in relazione ai propri investimenti in Cina, di non stare pianificando alcun cambiamento (36%), o che risulta ancora prematuro assumere una decisione in questo senso (46%). Questo dimostra che, nonostante le problematiche significative che le società europee stanno affrontando nel mercato cinese, esse – al momento – sembrano ancora determinate a mantenere una presenza a lungo termine in Cina.

Dal lato economico, un dato importante da ricordare è che all’inizio del 2021, l’Ufficio Nazionale di Statistica cinese ha riferito che il prodotto interno lordo del Paese è cresciuto della percentuale record del 18,3% nel primo trimestre dell’anno rispetto allo stesso periodo del 2020 in piena prima ondata Covid 19. Questa cifra fu considerata come un segnale che l’economia cinese stava tornando a crescere ai livelli pre-pandemici, segnando il più alto tasso di crescita annuale della Cina da quando ha iniziato a registrare la statistica nel 1993. In questo senso, non si possono escludere sorprese positive in Cina, poiché le rimonte sono sempre dietro l’angolo.

 

Conclusioni

Le imprese e, in particolare, le imprese estere richiedono certezza e prevedibilità nel mercato. Indubbiamente, tali esigenze sono disattese dall’adozione di misure di blocco a tempo indeterminato, sempre più stringenti e diffuse in tutto il Paese, che comportano difficoltà insormontabili nell’espletamento delle fondamentali operazioni commerciali come operazioni bancarie, consegne, produzione ed anche il minimo trasferimento tra una citta ed un’altra.

Sulla politica di tolleranza zero adottata dalla Cina si è pronunciata in modo espresso anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità, tramite il suo Direttore Generale, Tedros Adhanom Ghebreyesus, che l’ha giudicata come “non sostenibile” e aggiungendo che “è molto importante passare a una strategia diversa”.

In linea con questo suggerito cambio di strategia e nell’ottica di apportare più stabilità al mercato, l’approccio raccomandato dalla Camera di Commercio dell’Unione Europea in Cina, come delineato in alcune comunicazioni ufficiali indirizzate alle autorità cinesi, è quello di concentrare gli sforzi sulla vaccinazione dell’intera popolazione, compresi gli anziani e i soggetti vulnerabili ( infatti oltre 200 milioni di cittadini cinesi oltre i 60 anni non hanno completato il ciclo vaccinale di cui oltre 50 milioni non ha preso nessuna dose ); permettere ai casi positivi asintomatici o con sintomi lievi di restare in isolamento nelle proprie abitazioni senza essere trasferiti nei centri Covid; e permettere di utilizzare la migliore combinazione di vaccinazioni e richiami approvando l’ uso anche di vaccini stranieri tipo Pfizer, Astrazeneca, Moderna e simili.

Con l’adozione di queste nuove misure, gli investitori, attuali e potenziali, potranno auspicabilmente recuperare fiducia nel mercato cinese.

A cura di: Avv. Carlo D’Andrea, Vice Presidente della Camera di Commercio dell’Unione Europea in Cina